Il silenzio degli indecenti

Sono passati ormai 23 anni da quel 1992 che ha cambiato la storia del nostro paese e probabilmente le aspettative di tanti cittadini onesti che credevano in un domani diverso, un domani migliore. Tutti ricorderanno quel “è tutto finito” pronunciato da Antonino Caponnetto all’indomani della morte di Paolo Borsellino.

Sono dovuti morire martiri come Falcone, Borsellino, Chinnici e tanti altri per far comprendere ad una Italia dormiente l’esistenza di una organizzazione criminale, resa cosi potente e diversa dalle altre, dai suoi legami con il potere politico. Ma cosa è cambiato in questi anni? Verrebbe da dire nulla, anzi se qualcosa è cambiato lo è sicuramente in peggio.

Certo qualcuno potrebbe obiettare che da allora sono caduti sotto i colpi della giustizia i vari Riina, Provenzano ed altri, probabilmente arrestati quando ormai non servivano più. Il più delle volte ad essere condannati sono gli appartenenti al braccio armato di cosa nostra. Cosa nostra stessa che, a volte, rappresenta il braccio armato di centri di occulti di potere che dell’eliminazione dei giudici avevano fatto obiettivo comune. Quelle menti raffinatissime di cui parlava Falcone.

Potremmo chiamarli interessi incrociati. Quegli stessi interessi incrociati che sono oggi al vaglio della magistratura nel processo sulla trattativa stato-mafia, un processo questo che non solo potrebbe riscrivere la storia per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora, ma che ci aiuterebbe a guardare con fiducia il futuro sapendo che ci sono ancora magistrati che non hanno timore reverenziale nei confronti dei potenti. Ma si sa, il nostro è un Paese anomalo e quindi, invece di sostenere magistrati come il Pm Di Matteo, da più di 20 anni sotto scorta, condannato a morte Riina il quale probabilmente si fa portavoce di messaggi provenienti da altre entità, assistiamo al silenzio generale delle istituzioni. Ma si sa, in questo Paese i magistrati siamo bravi a celebrarli da morti.

Nemmeno adesso, nel momento in cui più collaboratori di giustizia hanno testimoniato che il tritolo per lui è già a Palermo, si sono udite voci provenienti dal Quirinale, dal Viminale o da Montecitorio. Silenzio assoluto. Nemmeno una parola dal premier Renzi, né da Mattarella, Grasso o Boldrini, che non hanno mai nemmeno citato il giudice Di Matteo in qualcuno dei loro messaggi. Guai a nominarlo, la gente finirebbe per chiedersi chi è questo magistrato, magari comincerebbe ad informarsi e a sostenerlo. A questo si aggiunge il silenzio della magistratura stessa che anzi, in più di una occasione, ha lasciato intendere, con i fatti, di non appoggiarlo. Isolato da politica e magistratura.

Atteggiamenti già visti, silenzi che non sono fine a se stessi. Ai cittadini meno attenti potrebbero passare come disinteresse verso il fenomeno mafioso, come sottovalutazione del pericolo oppure come aspetti secondari rispetto a ‘riformette’ varie che stanno monopolizzando i mass media, ma non è cosi. Ai cittadini attenti ed informati passa un altro messaggio. Il silenzio istituzionale suona infatti come una voce che urla “ Di Matteo è solo”, “ Di Matteo non ci interessa”. Voce che sicuramente sarà arrivata ai destinatari di quel messaggio, sempre attenti a cogliere simili peculiari sfaccettature.

Il generale Dalla Chiesa lamentando l’isolamento istituzionale che preannunciò la sua morte disse: “tutto ciò che voglio è che qualcuno mi prenda a braccetto e passeggi con me”.

A questo silenzio carico di messaggi inquietanti, però, si contrapporranno i cittadini onesti e ricercatori di verità e giustizia, da sempre al fianco del Dott. Di Matteo, che si incontreranno a Roma il 14 Novembre per manifestare solidarietà al PM e allo stesso tempo lanciare un altro messaggio: “Siamo tutti Nino Di Matteo, nessuno lo tocchi”.

Tutta la società civile è invitata a “prendere a braccetto” Di Matteo ed a passeggiare con lui.

Già perché stavolta non staremo a guardare, non staremo in silenzio. Stavolta la storia andrà diversamente.

Al silenzio degli indecenti risponderemo con le urla degli onesti.

 

di LORENZO DANILO

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