Nella maggioranza Piunti tutto come prima, ecco la sentenza Campanelli

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Pubblichiamo per esteso la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di Tablino Campanelli contro la nomina a consigliere comunale di Giacomo Massimiani di Fratelli d’Italia. Se Campanelli avesse vinto l’istanza, sarebbe entrato nel consesso civico al posto di Gianni Balloni e non di Massimiani, per effetto delle surroghe (nella foto, Massimiani e Balloni).

Il testo del pronunciamento dei giudici di Roma:

“Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)  ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso in appello nr. 9155 del 2016, proposto dal signor Tablino CAMPANELLI, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Salerno, con domicilio eletto presso l’avv. Valerio Santagata in Roma, via M. Clementi, 52,

contro

il COMUNE DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marina Di Concetto, con domicilio eletto presso l’avv. Livia Ranuzzi in Roma, via del Vignola, 5,

nei confronti di

signor Giacomo MASSIMIANI, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Galvani, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Salaria, 95,

per la riforma

della sentenza nr. 592/2016 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, Sezione Prima, nel procedimento nr. 437/2016, depositata nella Segreteria del T.A.R. e pubblicata all’albo pretorio del Comune di San benedetto del Tronto il 28 ottobre 2016, promosso dal signor Tablino Campanelli, delegato e rappresentante della Lista denominata “SPS – San Benedetto per San Benedetto Adesso”, per l’annullamento del verbale di proclamazione degli eletti adottato dall’ufficio elettorale per l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Comunale del Comune di San Benedetto del Tronto – Elezioni del 5-19 giugno 2016 il 21 giugno 2016 e di tutti gli atti preordinati e connessi relativi alle elezioni del 5 giugno 2016, e successivo ballottaggio del 19 giugno 2016, nella parte in cui non contempla tra gli eletti il candidato Tablino Campanelli, e per la conseguente sostituzione dello stesso al candidato Giacomo Massimiani, o a chi comunque risulti da sostituire a seguito della riduzione del numero di consiglieri da attribuire alla lista aggiudicataria del premio di maggioranza previsto dall’art. 73, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Benedetto del Tronto e dell’appellato signor Giacomo Massimiani;

Viste le memorie prodotte dall’appellante (in data 20 marzo 2017), dal Comune (in data 24 marzo 2017) e dall’appellato (in data 24 marzo 2017) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Maria Antonietta Gioffré su delega dell’avv. Salerno per l’appellante, l’avv. Di Concetto per il Comune e l’avv. Galvani per l’appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO

Il signor Tablino Campanelli ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. delle Marche ha respinto il ricorso da lui proposto, ai sensi dell’art. 131 cod. proc. amm., per la correzione dei risultati delle elezioni amministrative del Comune di San Benedetto del Tronto, svoltesi nei giorni 5 (primo turno) e 19 (ballottaggio) del mese di giugno del 2016.

A sostegno dell’appello ha dedotto:

1) violazione dell’art. 73, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267 (in relazione alla reiezione della censura relativa all’attribuzione del premio di maggioranza al Sindaco proclamato eletto, avvenuta considerando il totale dei voti riportati dallo stesso anziché quello dei voti riportati dalle medesime liste al primo turno);

2) erronea applicazione dell’art. 73, comma 10, del d.lgs. nr. 267 del 2000 (in relazione alla reiezione della censura relativa all’avvenuto arrotondamento, ai fini della verifica del limite previsto dalla norma, per eccesso anziché per difetto).

In relazione a quest’ultimo mezzo, l’appellante ha altresì eccepito l’illegittimità costituzionale della norma, ove interpretata nel senso di legittimare l’operato dell’Amministrazione comunale.

Si è costituito l’appellato in epigrafe indicato, controinteressato in primo grado, il quale, oltre a controdedurre nel senso dell’infondatezza del gravame e a instare per la conferma della sentenza impugnata, ha riproposto ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. le eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo non esaminate dal primo giudice.

Si è altresì costituito il Comune di San Benedetto del Tronto, il quale ha eccepito in limine l’inammissibilità dell’appello e nel merito ha argomentato nel senso della sua infondatezza.

Alla camera di consiglio del 9 febbraio 2017, si è dato atto della rinuncia di parte appellante alla domanda cautelare.

Di poi, le parti hanno ulteriormente argomentato con memorie le rispettive tesi.

All’udienza del 6 aprile 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il presente giudizio concerne i risultati delle elezioni amministrative del Comune di San Benedetto del Tronto, tenutesi in date 5 e 19 giugno 2016, rispettivamente per il primo turno e il ballottaggio, conclusesi con l’elezione a Sindaco del signor Pasqualino Piunti e l’attribuzione alle liste a lui collegate del premio di maggioranza previsto dall’art. 73 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267.

2. L’odierno appellante, candidato in una lista collegata al candidato Sindaco signor Paolo Perazzoli (sconfitto in sede di ballottaggio), ha impugnato in sede giurisdizionale gli esiti della competizione elettorale, lamentando l’erronea e illegittima attribuzione del predetto premio di maggioranza; in particolare:

– si è evidenziato che al primo turno le liste collegate al signor Perazzoli avevano conseguito il 50,88% dei voti validi, ciò che non avrebbe consentito di attribuire il premio di maggioranza al candidato poi risultato eletto sulla base dei voti ottenuti dallo stesso;

– si è criticato l’arrotondamento “per eccesso” ai fini del calcolo del premio di maggioranza del 60%, avvenuto aumentando a 15 seggi la cifra di 14,4 che risultava dal calcolo percentuale.

3. Con la sentenza in epigrafe, impugnata dall’originario ricorrente con l’appello all’esame della Sezione, il T.A.R. delle Marche ha respinto le doglianze attoree.

4. Tanto premesso, può prescindersi dalle numerose eccezioni di inammissibilità dell’appello e/o del ricorso di primo grado, sollevate ovvero reiterate dalle parti appellate, in quanto l’appello risulta infondato nel merito.

5. Col primo mezzo, l’appellante ripropone la censura relativa alla asseritamente illegittima attribuzione alle liste collegate al Sindaco risultato eletto del premio di maggioranza di cui all’art. 73, comma 10, del d.lgs. nr. 267 del 2000, norma che così disciplina l’assegnazione di detto premio: “…Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8”.

5.1. L’istante critica espressamente il consolidato indirizzo di questo Consiglio di Stato, richiamato dal primo giudice, secondo cui nella nozione di “voti validi”, ai fini dell’applicazione della disposizione citata, andrebbero computati anche i voti riportati dai Sindaci al secondo turno e non solo quelli conseguiti dalle liste collegate al primo turno (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 2013, nr. 1360; id., 16 febbraio 2012, nr. 802; id., 14 aprile 2010, nr. 3022).

Secondo l’appellante, il detto orientamento dovrebbe essere rivisto – e, sul punto, viene espressamente chiesta la rimessione della questione all’Adunanza plenaria – alla luce delle recenti pronunce della Corte costituzionale (in particolare è citata la sentenza nr. 1 del 13 gennaio 2014) che hanno ritenuto costituzionalmente illegittima l’eccessiva compressione del principio di rappresentatività operata da meccanismi elettorali incentrati sul premio di maggioranza.

5.1.2. Le argomentazioni di parte appellante non persuadono.

5.1.3. Ed infatti, la citata sentenza nr. 1 del 2014 (così come quelle che la hanno seguita, richiamate dall’Amministrazione comunale, in materia di elezioni politiche) non ha affatto sancito l’incostituzionalità in assoluto della previsione di premi di maggioranza, svolgendo invero considerazioni specificamente riferite alla Camera dei Deputati e facendo salva la discrezionalità del legislatore nell’operare un bilanciamento, proprio attraverso meccanismi di questo tipo, fra il principio di rappresentatività e le esigenze di governabilità.

In particolare, la Corte ha evidenziato:

a) che non esiste un modello di legge elettorale costituzionalmente imposto, rientrando la materia nella potestà del legislatore ordinario;

b) che, tuttavia, la legislazione elettorale non sfugge al controllo di legittimità costituzionale con riferimento al rispetto dei parametri fondamentali in materia, primo fra tutti quello dell’eguaglianza del voto che non può subire eccessive distorsioni in nome di altri valori quale è quello della stabilità della maggioranza elettiva (anch’esso espressamente qualificato come costituzionalmente legittimo);

c) che, proprio in considerazione di tali rilievi, esiste un margine di discrezionalità legislativa nel bilanciamento dei detti valori potenzialmente in conflitto, il cui cattivo uso è apprezzabile allorché si realizzi un eccessivo e sproporzionato sacrificio del principio di eguaglianza del voto a vantaggio dell’obiettivo della c.d. governabilità.

In definitiva, è proprio alla stregua dei rilievi svolti dalla Corte nelle sentenze dianzi richiamate che per le elezioni amministrative – diversamente che per quelle politiche – può ritenersi del tutto compatibile con il quadro costituzionale, in considerazione della possibilità di voto “disgiunto” al primo turno fra candidato Sindaco e liste collegate e della necessità di assicurare la governabilità dell’Ente locale al Sindaco democraticamente eletto, la previsione che assegna il premio di maggioranza sulla base dei voti validi conseguiti da quest’ultimo, e non solo dei voti riportati al primo turno dalle liste a questo collegate.

In particolare, appaiono del tutto condivisibili i rilievi dell’Amministrazione appellata, incentrati sulla peculiare legittimazione democratica che riviene al Sindaco dalla sua investitura diretta da parte del corpo elettorale, tale da escludere ogni distorsione del principio di rappresentanza per effetto della “valorizzazione”, ai fini che qui rilevano, del voti validi dallo stesso riportati nel turno di ballottaggio.

5.2. Nemmeno può essere addotta a sostegno dell’avviso di parte appellante, come si vorrebbe, la più recente decisione della Sezione V nr. 1035 del 15 marzo 2016, con la quale si è intervenuti sul computo dei “voti validi” di cui al comma 7 del medesimo art. 73, in tema di soglia di sbarramento del 3% per l’assegnazione dei seggi alle liste al primo turno, senza pregiudizio del più generale indirizzo in ordine alla definizione dei voti validi di cui al più volte citato comma 10.

Pertanto, essendo del tutto pacifico e consolidato l’orientamento della giurisprudenza nel senso testé precisato e non ravvisandosi valide ragioni per discostarsene, non merita favorevole delibazione la richiesta di devoluzione della questione all’Adunanza plenaria.

6. Del pari infondato è il secondo mezzo, con il quale si sollecita la revisione di altro consolidato indirizzo interpretativo del citato comma 10 dell’art. 73, d.lgs. nr. 267/2000, e cioè quello secondo cui, qualora nel rapportare il premio di maggioranza del 60% ai seggi disponibili si ottenga un risultato frazionato, questo va arrotondato all’unità superiore fino a raggiungere la percentuale normativamente prevista, che deve quindi essere intesa come minima (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 30 maggio 2016, nr. 2299; id., 30 giugno 2014, nr. 3268; id., 30 gennaio 2013, nr. 571).

Secondo l’istante, al contrario, l’inciso della disposizione de qua per cui a chi ottiene il premio di maggioranza “viene assegnato il 60 per cento dei seggi” non può essere interpretato nel senso suindicato, diversamente configurandosi un’incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 1, 3 e 48 Cost.; anche in questo caso, vengono richiamati passaggi della sentenza della Corte costituzionale nr. 1 del 2014 in tema di rischi di alterazione della rappresentatività democratica delle assemblee legislative.

Anche in questo caso, quindi, può agevolmente replicarsi:

a) che i principi enunciati dalla Corte sono specificamente riferiti alle elezioni politiche, in relazione alle quali peraltro non sanciscono un’assoluta intangibilità del principio di rappresentanza rispetto alla possibilità di introduzione di meccanismi correttivi (e in primis del premio di maggioranza), di modo che essi non possono essere sic et simpliciter invocati per sostenere l’incostituzionalità di una disposizione specifica del tipo di quella che viene qui in rilievo;

b) che, per il resto, non si ravvisano ragioni per discostarsi dal consolidato indirizzo che intende come soglia minima per l’attribuzione dei seggi la cifra del 60% di cui all’art. 73, comma 10, del d.lgs. nr. 267/2000.

7. Alla stregua dei superiori rilievi, s’impone una decisione di reiezione dell’appello e di integrale conferma della sentenza impugnata.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento, pro quota in favore del Comune di San Benedetto del Tronto e dell’appellato signor Giacomo Massimiani, di spese e onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 5.000,00 (cinquemila) oltre agli accessori di legge”.

 


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