San Benedetto del Tronto si candida a Capitale Italiana del Libro 2026
Oltre 150 persone per l’XI Meeting Nazionale dei Giornalisti dedicato a “Disarmare le parole”
Si è tenuta presso la parrocchia SS. Simone e Giuda in Ascoli Piceno, l’XI edizione del Meeting Nazionale dei Giornalisti, dal titolo “Disarmare le parole”. L’evento ha registrato una partecipazione straordinaria, con oltre 150 persone presenti in sala, tra operatori dell’informazione, rappresentanti delle istituzioni, cittadini e sacerdoti. Da segnalare in particolare la partecipazione del cardinale Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo emerito de L’Aquila, e dell’Arcivescovo Piero Coccia, emerito di Pesaro.
Promosso dalle diocesi di Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto, il Meeting, i cui responsabili organizzativi sono stati i giornalisti Simone Incicco e don Gianpiero Cinelli, ha voluto offrire un’occasione di confronto sul valore della comunicazione responsabile e della parola come strumento di costruzione e di pace. Anche la scelta della sede non è stata casuale: la parrocchia di Ascoli Piceno sorge infatti non lontano dalla casa circondariale di Marino del Tronto, dove in contemporanea si è svolto l’evento “La porta della speranza”, promosso dalle medesime Diocesi con la partecipazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Tre luoghi simbolici – carcere, parrocchia e ospedale – uniti idealmente in una giornata dedicata alla speranza e alla giustizia.
Il Meeting, nato nel 2013 all’indomani dell’elezione di Papa Francesco, si conferma come uno spazio di riflessione e testimonianza, aperto a voci provenienti dal mondo dell’informazione, della Chiesa e della società civile.
Comunicare per il Bene
“Comunicare per il Bene” è stato il primo dei tre tavoli tematici, introdotto da Simone Corradini (Centro Studi Ordine dei Commercialisti di Ascoli P.). L’incontro ha registrato la partecipazione dell’economista Giulio Tremonti, già ministro delle Finanze, e di Massimo Monzio Compagnoni, responsabile nazionale del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica. A moderare gli interventi è stata la conduttrice Camilla Ferranti di Isoradio.
Tremonti: 8×1000 e Terzo Settore, è tempo di un salto ulteriore
L’intervento di Giulio Tremonti è partito da una questione di attualità: le dichiarazioni del cardinale Zuppi, che si è detto “deluso” per le recenti modifiche alla destinazione dell’8×1000 volute dal Governo Meloni. Tremonti non ha elusa il tema: “Credo che la logica del Concordato fosse quella di concordare i passaggi importanti come questo. Serve maggiore dialogo”.
Ma il cuore del suo discorso è andato oltre, soffermandosi sulla questione del bene comune in tempi di crisi demografica e sociale. Ha richiamato una sua proposta legislativa, presentata alla Camera come Atto n. 2242, che mira ad incentivare i trasferimenti al Terzo Settore attraverso esenzioni fiscali totali e permanenti.
“Dobbiamo avere il coraggio di affrontare l’autunno demografico e quello, inevitabile, democratico. Il sistema di welfare è sotto pressione. Serve un nuovo patto sociale e fiscale che favorisca chi opera per il bene comune”. L’ex ministro ha inoltre raccontato anche la genesi del 5×1000, nato da un suo articolo sul Corriere della Sera nel 2004: “strumento pensato per sostenere la ricerca scientifica e il volontariato. Oggi però è tempo di un salto ulteriore”.
Massimo Monzio Compagnoni: come vengono utilizzati i fondi
Massimo Monzio Compagnoni ha raccolto il testimone e nel suo intervento ha fatto un’ammissione lucida: “La Chiesa, per tradizione, fa il bene, ma non lo racconta. In un mondo dove chi non comunica sembra non esistere, questo è un limite da superare”.
Illustrando come vengono spesi i fondi dell’otto per mille, Compagnoni ha chiarito:
– Circa 400 milioni di euro vanno al sostegno del clero.
– 250 milioni sono destinati alla cura del patrimonio artistico e pastorale.
– 270 milioni, infine, sono utilizzati per la carità, suddivisi tra diocesi italiane e Paesi in via di sviluppo.
“In tutto questo – ha aggiunto – il bene è al centro, ma al centro c’è soprattutto l’uomo. La Chiesa è presente ogni giorno nei territori, ma serve fare un salto culturale nella comunicazione, puntando anche sul fundraising locale”.
Una proposta concreta per il futuro
Tremonti è tornato sul ruolo del Terzo Settore come pilastro per il futuro e non come ambito marginale: “L’attuale distribuzione della ricchezza è regressiva. Molti beni saranno abbandonati, perché gli eredi non potranno permettersi di mantenerli. Meglio destinarli al bene comune. Serve una normativa forte che favorisca lasciti al Terzo Settore, rendendoli fiscalmente esenti”.
A chiusura, un’affermazione che sintetizza il senso profondo del suo intervento: “Non possiamo entrare nel terzo millennio con le categorie del passato. Dobbiamo costruire un mondo più giusto e fraterno, in cui comunicare il bene non sia solo un’opzione, ma un dovere”.
Comunicare il bene, costruire fiducia
Il panel si è concluso con un’ultima riflessione sul potere della comunicazione. La televisione – hanno ricordato entrambi i relatori – resta oggi lo strumento più efficace per raggiungere la popolazione, anche se la sfida digitale è ormai inevitabile. Il messaggio che arriva da Ascoli è stato chiaro: fare il bene è fondamentale, ma comunicarlo lo è altrettanto, perché solo così si crea fiducia e si rafforza il senso di comunità.
Una finestra su Gaza
Particolarmente toccante il videomessaggio trasmesso da Gaza con Padre Gabriel Romanelli, parroco della Parrocchia latina della Sacra Famiglia, che ha offerto una testimonianza sulla situazione nel territorio palestinese, che “continua ad essere molto grave”: “poiché purtroppo i bombardamenti continuano, è destinata anche a peggiorare, perché ogni attacco aereo vuol dire più morte, più feriti, più distruzione”.
Le sue parole arrivano, mentre prosegue la campagna militare aerea e terrestre dell’esercito israeliano che sta provocando decine di morti in diverse località della Striscia, nel quartiere di Sabra, a Gaza City, a Khan Yunis. Nel mezzo di questa catastrofe, con la sanità oramai al collasso, la distribuzione degli aiuti alimentari alla popolazione a rischio carestia si fa sempre più difficile per la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), sostenuta da Stati Uniti e Israele per controllare l’emergenza umanitaria, dopo un blocco totale di aiuti imposto dal Governo Netanyahu il 2 marzo scorso.
Mancanza di speranza. “Umanamente parlando – ha aggiunto il parroco, missionario argentino dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) –, la cosa che più colpisce è la mancanza di speranza nella popolazione. Parliamo di 2,3 milioni di persone che non vedono un futuro. Non lo vedono perché non viene loro dato un segnale chiaro che potranno vivere e ricostruirsi una vita nella loro terra. La cosa principale di cui tutti hanno bisogno è che la guerra finisca. Nella Striscia vivono 2,3 milioni di gazawi che hanno bisogno di tutto per vivere, dal cibo all’acqua, alle medicine. È angosciante”.
Preghiera continua. Dallo scoppio della guerra gli sfollati cristiani nella parrocchia non hanno mai smesso di pregare, confortati dalle telefonate serali di papa Francesco, e di chiedere la pace e la liberazione degli ostaggi. “Con i nostri sfollati – ha proseguito padre Romanelli – portiamo avanti le attività pastorali: innanzitutto la preghiera”. “Poi ci sono i bambini che vengono in chiesa per le loro preghiere, scrivono a Gesù, leggono il Vangelo – ha aggiunto -. Questo è un momento molto toccante della nostra vita dentro la parrocchia, dove abbiamo anche l’oratorio, il Rosario, la Messa. Alla sera c’è la preghiera dei giovani e la Compieta. I bambini giocano all’esterno, nel cortile, e quando ci sono i bombardamenti tutti corrono a ripararsi dalle schegge, ma dopo pochi minuti sono di nuovo tutti a giocare fuori. È dall’inizio della guerra che vivono qui dentro”.
Comunicare con Mitezza
“Comunicare con Mitezza” è stato il tema del secondo panel, dedicato al ruolo dell’informazione nell’epoca della comunicazione digitale, in linea con il Messaggio di Paap Francesco per la 59° Giornata delle Comunicazioni Sociali.
Introdotti da Raffaele Vitali (Ordine dei Giornalisti delle Marche), sono intervenuti Antonio Preziosi, direttore del TG2, Alessandra Ferraro, direttrice Rai Isoradio e Massimiliano Padula, docente alla Pontificia Università Lateranense. La moderazione è stata affidata al prof. Giovanni Tridente della Pontificia Università della Santa Croce.
L’intervento di Alessandra Ferraro
“Comunicare con mitezza è un atteggiamento comunicativo, che forse prelude, dal punto di vista culturale, anche una nuova rivoluzione dell’umanesimo”, ha esordito Alessandra Ferraro. Ricordando poi le parole di papa Francesco, la direttrice di Isoradio ha sottolineato come sia indispensabile “disarmare la comunicazione”. Per farlo, “è necessaria la mitezza, ma non intesa come una virtù propria di chi è debole o ha paura – come spesso pensiamo – bensì il contrario: essere miti significa avere forza e maturità, doti necessarie per stimolare il dialogo con gli interlocutori. La comunicazione fatta con mitezza parte da un presupposto fondamentale: il mio interlocutore non è un avversario da battere, ma una persona con cui dialogare”.
Ferraro ha quindi indicato alcune parole chiave per comunicare con mitezza, come l’ascolto, l’etica della verità e l’empatia, mettendosi in relazione con l’interlocutore, evitando l’aggressività e traendo una speranza da trasmettere anche quando si affrontano temi difficili e drammatici.
L’intervento di Antonio Preziosi
È stata poi la volta del direttore Antonio Preziosi, il quale ha iniziato il suo intervento definendo la mitezza come “un concetto antico, forse anche un po’ desueto, che anche dal punto di vista giornalistico ha una sua importanza e una sua declinazione”. “Per capire cosa sia la mitezza, dobbiamo parlare del suo contrario: la mitezza non è aggressività, non è arroganza, non è incapacità di trovare una mediazione, non è ostilità, non è durezza di cuore”. “È fondamentalmente gentilezza, è calma, è dolcezza, è tolleranza. Ed è un concetto che si unisce ad un altro valore importante: l’umiltà, ovvero la capacità di riconoscere i propri limiti e di porsi davanti alla realtà con un atteggiamento senza pregiudizi e di grande apertura, che poi è la dote del giornalista. Sarà per questo che, da giovanissimo giornalista, intervistando Enzo Biagi sulla virtù principale del giornalista, mi sentii rispondere l’umiltà, perché noi siamo testimoni dei fatti, non protagonisti. Umiltà e mitezza quindi vanno di pari passo. Non è un caso se un grande Maestro nel linguaggio evangelico disse: ‘Imparate da me che sono mite e umile di cuore'”.
Preziosi, il cui ultimo libro si intitola “La via disarmata e disarmante” su papa Leone XIV, ha ricordato poi anche le parole di papa Benedetto XVI, il quale, “prima delle sue dimissioni, sottolineò l’importanza del silenzio nella comunicazione, un concetto paradossale ma che evidenzia la necessità dell’ascolto”.
L’intervento di Massimiliano Padula
A concludere il secondo panel del meeting è stato Massimiliano Padula: “La comunicazione è un processo generativo. Penso alla Radio che ha prodotto nuove forme di trasmissione dell’informazione, come i podcast”. Il sociologo ha poi riflettuto sulla cultura digitale, sul processo di desensibilizzazione e sulla “babelizzazione dell’esistenza, che va vissuta, cercando di salire sulla torre e non rifuggirla”. Padula ha sottolineato come, a seconda dei mezzi di comunicazione, sia cambiato il racconto della guerra ed ha conclude: “Oggi l’attuale cultura digitale destruttura l’esperienza comunicativa tradizionale. Qualcuno prima diceva che stiamo poco sui social. Non so se sia vero questo. In ogni caso il problema non è quanto stiamo sui social, ma come ci stiamo. Oggi siamo in un tempo del primato della relazione. Diffidate di chi dice che i social creano isolamento. Non è vero. I social creano apparati relazionali massivi: il problema è che tipo di relazione si crea sui social. Oggi la sfida giornalistica è competere con questi meccanismi destrutturanti e decostruenti”.
Comunicare la speranza
L’ultimo tavolo, “Comunicare la Speranza”, ha poste al centro il tema della giustizia e del carcere, introducendo riflessioni profonde sulla necessità di nuovi cammini umani e sociali.
Ad aprire il panel Paolo Travaglini, presidente dell’Ordine degli Avvocati, seguito dagli interventi del cardinale Zuppi, presidente della CEI, e della dott.ssa Daniela Valentini, direttrice della Casa circondariale di Ascoli Piceno. A moderare l’incontro è stata Susanna Lemma, vicecaporedattrice del TG1.
L’intervento di Daniela Valentini
La direttrice del Valentini ha sottolineato come a tutti i detenuti vada trasmessa la speranza, senza neanche conoscere il reato: “Il giudizio va lasciato fuori dal carcere, che rappresenta un punto di ripartenza. Purtroppo, per penuria di personale, non sempre si riesce a concedere il giusto tempo a ciascun detenuto, di cui invece si dovrebbero conoscere disagi, preoccupazioni e debolezze. Ora stiamo combattendo soprattutto la piaga dei suicidi e talvolta siamo riusciti a prevenirli. È importante che, a fini rieducativi, il territorio entri nel carcere, offrendo lavoro, progetti e futuro, anche durante il periodo di detenzione”.
Valentini ha concluso evidenziando come spesso i familiari siano quelli che soffrono di più, “come quando si vedono i bambini andare a trovare il papà: anche in questo il regime di semilibertà può aiutare. Ricordiamoci che la detenzione deve essere solo un momento di passaggio”.
L’intervento del cardinale Matteo Maria Zuppi
A chiudere il terzo panel e l’intero Meeting è stato il cardinale Matteo Maria Zuppi, il quale ha esordito affermando: “Per comunicare la speranza bisogna intanto avercela. E qualche volta ce n’è poca in giro. Ci sono molte illusioni, quelle che si vendono in bottiglia o nelle dipendenze, anche dal gioco. Credo che questo Giubileo della speranza, in un mondo in preda alla guerra, sia l’ultimo regalo che ci ha lasciato papa Francesco. Come dice la bolla di indizione giubilare, in ogni uomo c’è sempre la speranza. Noi abbiamo fatto crescere cespuglioni di cinismo, indifferenza, amarezza e delusione, ma sotto, sebbene spesso insabbiata e nascosta, c’è la speranza”.
In merito alla visita fatta alla casa circondariale di Marino del Tronto poche ore prima, ha commentato: “Perché solo il 25% dei detenuti lavora? A Bologna c’è un coro, di cui fanno parte molti detenuti, che imparano a tirare fuori la loro voce, anche metaforicamente, nell’armonia del canto. La giustizia deve essere rieducativa e riparativa. Nella Chiesa si fa esperienza di universalità: è una grammatica comune con l’ispirazione dello Spirito Santo”.
Leone XIV: la sua mitezza comunica tanta fermezza
In riferimento a papa Leone XIV, ha detto che è successore di Pietro e anche di papa Francesco, sottolineando “una grande ereditarietà” tra i due pontefici, seppur ciascuno con la propria sensibilità: “La tradizione è una cosa bella e da amare, ma non è mai conservazione. Non è stagnazione, ma costante rinnovamento nella tradizione”. E in merito al nome scelto, dice: “Come Leone XIII ha traghettato la società durante la rivoluzione industriale, così Leone XIV ci accompagna in questa rivoluzione antropologica digitale”.
Sul momento dell’elezione ha aggiunto: “Non ha nascosto la sua emozione, il suo groppo in gola, ed è stato commovente. Poi c’è questa sua mitezza, che comunica tanta fermezza, serenità, tanto ascolto, ma anche tanto governo e che trasmette rispetto”.
Colloquio Papa-Putin: permette il dialogo
Un pensiero poi sul colloquio telefonico tra papa Leone XIV e Putin, definito “molto importante, perché non è solo cortesia – che pure sarebbe importante tra due Capi di Stato – ma soprattutto perché permette il dialogo, qualcosa in cui spesso non crediamo più, ma che è l’unica via per fermare veramente le guerre. Il dialogo non vuol dire cancellare le responsabilità, ma vuol dire risolvere i conflitti con una via che non prevede armi”.
La conclusione sulla speranza: “Don Primo Mazzolari diceva: ‘La speranza è quella del contadino che, nelle nebbie di ottobre, vede le messi di giugno’. Il Signore ci ha messo tanta speranza nel cuore. Una speranza che noi spesso ci rifiutiamo di vedere. Un vescovo, ribaltando il famoso detto ‘Finché c’è vita, c’è speranza’, ha scritto un libro dal titolo ‘Finché c’è speranza, c’è vita’. Io credo che sia proprio così!”.
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