Blade Runner 2049: ottimo film, grande impatto visivo ma qualche pecca

Los Angeles, 2049: in una tetra e nebbiosa città in cui la fanno da padrone luci al neon che spiccano tra lo smog e distese di rifiuti che hanno eliminato quasi ogni traccia di elementi vegetali ed animali, l’agente K, replicante di ultima generazione, dà la caccia ai vecchi modelli Nexus ribelli. Rintracciatone uno in una fattoria lo elimina come da prassi ed uscendo dall’abitazione l’agente nota un fiore sotto ad un albero, rarità assoluta, insospettito scansiona il terreno sottostante trovando un vecchio baule contente lo scheletro di una replicante modello Nexus. Dopo gli accertamenti al dipartimento di polizia si scopre lo sconvolgente segreto nascosto nello cassa: lo scheletro appartiene ad una replicante morta di parto cesareo. All’agente K viene ordinato di rintracciare il figlio qualora fosse ancora vivo e cancellare ogni prova per evitare lo spargersi della sconcertante verità; il confine sottile tra esseri umani e replicanti verrebbe meno e come afferma Madame, capo di K, Dì a entrambi i lati che non c’è il muro, e la guerra è certa. Il protagonista inizia le sue indagini che lo porteranno da un ex orfanotrofio fino ad una post-apocalittica Las Vegas in cui incontrerà l’agente Decker, latitante da 30 anni proprio a causa della nascita del bebè non umano e K arriverà a credere di essere lui stesso il figlio replicante ricercato. In tutto ciò Wallace, capo della società che genera i replicanti moderni, vuole a tutti i costi catturare Decker per farsi svelare i segreti del suo rapporto con la compagna androide Rachel ed il concepimento di una “specie ibrida” per portare ad un altro livello i suoi studi. Finale emozionante ed inaspettato con un grande omaggio/parallelismo alla scena conclusiva del Blade Runner di Ridley Scott.

Nonostante la pubblicità martellante in ogni dove, Facebook, Istagram, TV, radio, etc…, nonostante la maggior parte del pubblico lo abbia acclamato, nonostante sia il sequel di un grandissimo cult che ha fatto la storia del cinema fantascientico, non ha entusiasmato. Si, senza ombra di dubbio è un ottimo film, ma probabilmente è stato osannato e pubblicizzato troppo, per questo ha deluso leggermente le aspettative, certamente troppo alte e plagiate dalla febbre da Blade Runner.

La trama è buona, tiene abbastanza alta l’attenzione dello spettatore anche se impiega un po’ a decollare, infatti la prima parte è piuttosto lenta ma Ryan Gosling è bravo a concentrare su di sé quasi tutta l’attenzione, Jared Leto nei panni di Wallace ha un ruolo marginale ed Harrison Ford c’è, ma il suo ruolo è minore contro ogni previsione, ci si aspettava un maggior coinvolgimento dell’attore. Inoltre la sceneggiatura a tratti pecca di prevedibilità, ci si immagina spesso lo sviluppo della storia, il più delle volte indovinando. Ma lasciando da parte lentezza iniziale e prevedibilità a tratti, il regista Villeneuve non dimentica di omaggiare il cult dell’82 e lo fa inserendo chicche qua e là come il cavallino di legno che va a sostituire l’unicorno/origami, gli ologrammi dello spot della Coca-Cola e della Atari (anche se ormai fallita dal 2013), i parallelismi tra i “cattivi” Roy Batty e Luv, l’omaggio nella scena finale in cui K si lascia morire sotto la neve così come Roy si lascia morire sotto la pioggia dopo essere rimasti feriti.

Per quanto riguarda la fotografia invece Blade Runner è eccezionale: Roger Deakins, nominato agli Oscar ben 13 volte (Fargo, Non è un paese per vecchi, Unbroken, Skyfall…) ed assiduo collaboratore dei fratelli Cohen, non sbaglia e riesce a creare immagini forti che restano impresse nella memoria dello spettatore. Il grigio fumo della città è squarciato da neon blu, rossi, azzurri e dalle pubblicità-ologrammi colossali che spuntano dagli edifici o invadono i marciapiedi, i contrasti forti che mettono in risalto le silhouette e la foschia rossiccia e ovattata che avvolge le rovine di Las Vegas fino a farla sembrare un paesaggio marziano e straniante ma allo stesso tempo quasi rassicurante, il tutto ha contribuito a rendere il film unico. Anche la colonna sonora non è da meno ed infatti è stata curata da un grande maestro come Hans Zimmer, la cui ultima fatica è stata “Dunkirk”, che ha saputo adattare al meglio la musica rendendola onnipresente ed appropriata.

Il regista Villeneuve prolunga troppo i tempi e rischia, con le sue lungaggini, anche di annoiare lo spettatore ma grazie ad una fotografia unica, ai ritmi più alti della seconda parte e alla suspense finale riesce a girare un buon sequel e a tenersi comunque ai livelli del grandissimo cult di Ridley Scott, raccogliendo la sua eredità e spingendola più avanti nel futuro, ampliandola ed allacciandosi alla storia originale senza strafare. Resta il fatto che il film sarà ricordato non tanto per la storia in sé per sé ma più che altro per il grande impatto visivo, per le immagini e le scenografie uniche che ne faranno un marchio di fabbrica, una peculiarità, un modello con cui confrontarsi ed un termine di riferimento per i registi futuri.

 

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