Centro agroalimentare, l’attacco di Urbinati: “Serve un indirizzo politico nuovo”. E annuncia battaglia

urbinati
SAN BENEDETTO –  “Ceriscioli è finito, non lo vuole più nemmeno il Pd”. Questo il j’accuse del consigliere regionale di Italia Viva Fabio Urbinati, che oggi ha attaccato la Regione sul centro agroalimentare.

Le tappe della storia infinita. “La vicenda che sta assumendo contorni da chiarire prima della fine legislatura, ormai prossima è basata su una legge varata negli anni ‘80, ma l’orientamento della Regione cambia a partire dal 2012, anno molto importante, quando con il governo Monti, e la forte stretta sulla finanza pubblica, ci sono i primi provvedimenti sulle partecipate: l’allora governatore Spacca e la Regione Marche iniziano a vagliare l’ipotesi di mettere su mercato le proprie quote, soprattutto in coincidenza con la crisi delle aziende di trasformazione ittica.

 

 

Si pensa sulle prime a una valorizzazione attraverso la messa delle quote su mercato e anche Gaspari e il comune di San Benedetto individuano interessi importanti in un centro i cui omologhi a livello internazionale sono stati tutti valorizzati, e si comincia a pensare a una procedura di previdenza pubblica, per una vendita strategica: all’epoca la quota del comune valeva più di 4 milioni, tanto che si vaglió l’ipotesi di realizzare con i fondi recuperati un tratto di lungomare; durante il governo Gaspari infatti le quote valevano quasi il doppio di adesso”.

 

Una strana evoluzione. “Le procedure deserte, l’indebitamento e l’eventuale vendita con lo spauracchio della perdita del valore immobiliare, fecero entrare i primi a riacquistare: Sabelli, Gabrielli e Cash and Carry, due su tre delle eccellenze del territorio. Il nodo di svolta sono le lezioni 2015 quando sono arrivato in Regione e ho cominciato a controllare i bilanci: il  patrimonio della Regione in termini di quote del centro viene attribuito alla responsabilità del settore agricoltura e sulle prime  ho pensato subito a una soluzione sui generis”.

 

Scoppia la bomba. “Nel 2016 la Regione con l’atto del dirigente Costa n.559380 dell’agosto 2016, comunica il recesso delle quote della regione in base alla riforma Monti per cui se non si è in grado di liquidare le quote tutta l’azienda va in liquidazione. Con la conseguenza che la Regione non poteva più avanzare nessun diritto in fase di votazione in consiglio sul bilancio”.

 

L’accusa. “Nella votazione del consolidato, ovvero il Bilancio delle società partecipate strategiche, in nessun caso successivo di votazione ho votato per il recesso. Non ho votato il recesso delle quote,  e penso che un dirigente non può operare un atto così importante, che è competenza del consiglio,  che deve essere quantomeno informato, mentre così non è stato: io altrimenti avrei presentato immediatamente un emendamento”.

 

La prima battaglia. “Sono in piena sintonia con il mio partito e abbiamo l’appoggio dei 5 stelle e della comunità, che perderebbe un valore il termini di capitale sociale di 6.000.000 di euro nel caso questo atto dirigenziale dovesse tradursi in prassi”.

 

La strategia. “Il collegio dei revisori del centroagroalimentare  mi sembra la Corte Costituzionale, noi diciamo pareri opposti a loro: l’80 % di questi centri in tutta Italia sono strategici, io ero favorevole alla vendita ma se ci fosse stata dietro una strategia di rilancio: sono stato uno dei primi firmatari della Camera di commercio unica. Va infatti considerato come nell’abito delle aziende speciali delle Marche c’è quella del legno, a Pesaro, quella della manifattura da Fermo a Macerata, e quella agroalimentare qui al sud”.

 

 

Proposta.  “Che cosa c’è di meglio di un centro che valorizzi il settore Agroalimentare del territorio? Vendita per la valorizzazione agroalimentare delle aziende del territorio si, ma il recesso proprio no: comporta con la legge del  2017 la  perdita totale al diritto di socio: poi non puoi votare in bilancio , puoi solo intervenire sulle tue quote per esprimere una opinione non vincolante”.

 

 

Operazione recesso annullata. “A meno di un anno, l’atteggiamento di concludendo, determinato in Regione da un nuovo necessario indirizzo politico, ha portato alla votazione del bilancio e alla nomina nuovi amministratori: azioni politiche che, secondo me, fanno si che il recesso sia superato, non tanto legislativamente, o meglio non solo, ma politicamente, se è vero che non siamo dei burocrati e che dobbiamo lavorare per il bene del territorio”.

 

 

La storia continua. “L’anno dopo, il 14 maggio 2018 lo stesso dirigente faceva una dichiarazione a verbale nel CDA, formalizzando il recesso, e così si autoaccusava, ma ciò non toglie che il recesso sia totalmente superato”.

 

La minaccia e il proposito. “So di questioni, inerenti la vicenda, che farò presente alla Corte dei Conti.  La politica deve evolvere e cambiare, perché non vogliamo più disfarcene, dobbiamo tentare di fare un discorso nuovo: è un dovere politico, sennò quel capitale sociale si erode, con un danno erariale puro. Quindi chiedo alla legislatura di cambiare indirizzo, Italia Viva chiede un’operazione del rilancio del centro, che non significa necessariamente e per forza averlo sul groppone: questo però non è l’atteggiamento giusto che la Regione, con in testa Anna Casini e il suo invito alla liquidazione, deve cambiare”.

 

Fatto politico? “Il fatto che Italia Viva e 5 stelle sostengano il progetto spero non comporti la naturale avversione del Pd, spero di di no sennò siamo all’antipolitica e mi verrebbe da piangere”.

 

 

Le conclusioni. “La legge Madia prescrive la liquidazione come estrema ratio, all’art 24. Si stabilisce che decorso un anno senza esito per la vendita si passa alla liquidazione. Ma Ceriscioli non è mai stato chiaro, chi lo dice che deve essere applicata la legge Madia?”.

 

 

Giovedì l’appuntamento in commissione. “Ho chiesto alle commissioni competenti di bilancio e patrimonio, e attività produttive e industria, una richiesta per un’audizione congiunta, con il CdA del CAAP, i revisori dei conti e tutti i soci che vogliono venire a conferire con la commissione. Perché il dibattito sul centro sia più trasparente e pubblico possibile”.

 

Il monito. “Ho visto cose che devo riferire alla Corte dei Conti di Ancona: la cosa rilevante legislativamente è che il consiglio ignorava l’atto del dirigente Costa, e molto altro. Non penso ci siano stati illeciti, ma grosse cappellate. Ma io non ho potuto dire la mia: infatti il presidente Ceriscioli non ha mai delegato, mentre prima erano chiamati a intervenire i consiglieri di San Benedetto”.

 

 

Giovedì Urbinati chiederà audizioni congiunte dei portatori di interesse con lo scopo di partorire un atto di indirizzo e riportare la mozione, bocciata lo scorso 6 dicembre dal consiglio, di nuovo di fronte all’assise regionale.

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