“Farlo ha avuto una valenza simbolica importante”. La testimonianza di uno dei primi ascolani vaccinati contro il Covid

ASCOLI – Andrea Camplese è stato uno dei primi ascolani che ha ricevuto il vaccino lo scorso 27 dicembre. Andrea, 35 anni, è anestesista rianimatore all’ospedale “Torrette” di Ancona e fa parte di quelle che sono le prime linee sul fronte della lotta al Coronavirus.

« E’ stato tutto abbastanza semplice. Pochi giorni prima del 27 dicembre è arrivata la comunicazione dalla Regione alle varie aziende ospedaliere. Sarebbero arrivate solo 35 dosi di vaccino. Prima si dovevano vaccinare gli operatori del dipartimento d’emergenza e chi lavora nei reparti covid. Anche nella rianimazione si è provveduto a vaccinare tutti gli operatori. C’erano inizialmente 4 dosi per 4 rianimatori e si è proceduto in ordine anagrafico, partendo dal più anziano. Io smontavo dalla notte che è stata molto movimentata come sempre, e alle 16,30 ho fatto il vaccino » dice.

«Fuori dall’ambulatorio c’erano anche i Carabinieri che temevano manifestazioni dei No vax, ma in realtà non c’era nessuno. Non ho avvertito alcun effetto collaterale, se si esclude un piccolo dolore sulla zona interessata: dicono che si potrebbe avere un pò di febbre solo alla seconda somministrazione  che farò il 18 gennaio. Il problema principale è la quantità che si riesce a produrre. La produzione in se non è difficile perché si tratta di un prodotto a base Rna, semplice da realizzare: chi l’ha ideato prenderà il Nobel per la medicina » evidenzia Andrea.

«Altro tema riguardante il vaccino Pfizer è lo stoccaggio perché deve essere mantenuto a -70°. Adesso ci sarà anche il vaccino Moderna  che ha la stessa sequenza genetica di quello Pfizer. Quello di AstraZeneca è un vaccino più classico, molto simile a quello dell’epatite B. Per stare tranquilli bisognerebbe vaccinare l’80% della popolazione, anche se alcune categorie non possono farlo per vari motivi» prosegue Andrea.

«I No vax non solo dicono fesserie, ma  fanno anche affermazioni eticamente sbagliate: il principio di autodeterminazione qui non vale, perché si tratta di un virus infettivo che colpisce anche gli altri. In questo caso c’è un discorso sociale; più gente vacciniamo, più torniamo ad una vita normale. Siamo contenti di vaccinarci perché noi siamo tutti i giorni a rischio: ogni volta che intubiamo qualcuno, rischiamo la morte. Con il vaccino lavoriamo più tranquillamente» prosegue il dottor Camplese.

Da marzo,Andrea è impegnato quotidianamente in trincea nella battaglia per salvare vite umane, una guerra non facile da combattere. «A marzo  siamo stati chiamati come anestesisti e rianimatori a decidere chi poteva avere un posto letto, scegliendo chi poteva avere una chance e chi non poteva essere salvato. Ricordo il viso di tante persone  che accompagni verso la fine. Il principio che è stato applicato è quello della medicina di guerra: quando ci sono 400 feriti, non posso salvarli tutti, ma solo quelli che possono sopravvivere. E’ una condizione estrema che accade sui campi di guerra, come è accaduto nella prima fase della pandemia. Sono condizioni che pensavamo fossero lontane ma che, invece, abbiamo vissuto direttamente. Questo ha creato problemi emotivi non indifferenti: sono cose che poi ti porti a casa e poi fai fatica ad addormentarti» spiega.

«Quest’anno avrò visto almeno 50 persone morire sotto ai miei occhi e questa cosa comporta un contraccolpo psicologico non indifferente. Tutto questo noi lo facciamo perché l’essere umano è solidale verso il prossimo. Con  il vaccino ritorneremo a curare i vivi e per noi ha una valenza simbolica notevole. I no vax? Qualcuno, nonostante sia stato male ed è stato intubato, ha continuato a negare l’evidenza. Se continuano a dire che tutto questo è una finzione, cosa posso dire di più? Credo che la paura di questa situazione porti a negare e a non affrontare la realtà» sottolinea il dottor Camplese.

E infine:  «Vaccino obbligatorio? Forse si, ma non ho una risposta chiara. Se le percentuali di non vaccinati diventeranno più ampie, il discorso cambierebbe di molto».

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