Il teatro ai tempi del Coronavirus: quale futuro? Intervista a Santarelli

Teatro San Filippo Neri

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Teatro e covid19. Un binomio che stride e fa sentire il peso di una incidenza profondamente negativa, che si ripercuote sulle strutture, le compagnie e gli attori. Dopo la lunga chiusura provocata dal dilagare dell’epidemia, il 15 giugno si potrà tornare a teatro. Come vivono questo momento cruciale e come si stanno preparando gli operatori? Ne parliamo con Chiara Santarelli, attrice, sceneggiatrice e direttrice artistica del Teatro San Filippo Neri.

“E’ un periodo duro, molto confusionario, in cui ancora adesso che siamo prossimi al 15 giugno, non è ancora chiaro nulla sulla riapertura. Per fortuna noi di Caleidoscopio ci stiamo consultando con un tavolo di coordinamento di realtà indipendenti delle Marche. Per fare proposte alla Regione sia dal punto di vista delle normative sia dal punto di vista di eventi “possibili” durante questa fase di assestamento. Teniamo duro e cerchiamo di avere risposte prima possibile” spiega la direttrice.

 
Come è stato stare lontano dalle scene e dal pubblico in questo periodo di inattività?
Un attore, un regista, un creativo farà sempre un gran fatica a star lontano dal suo luogo sacro di lavoro. L’unica cosa che mi ha davvero appagato è stata scrivere, nonostante ci sia anche quel lato “frustrante” dello scrivere per la scena, non sapendo quando sarà possibile tornarci. Il pubblico mi manca, mi mancano i ragazzi dei corsi in primis, ma anche quelle persone fedeli che avevano iniziato ad innamorarsi del nostro teatro durante questi pochi anni di attività.
Durante la quarantena avete cercato di reinventarvi grazie al web, come hanno fatto molti artisti?
Durante la quarantena abbiamo deciso di lavorare su noi stessi, su Caleidoscopio in quanto gruppo di persone. Abbiamo deciso di studiare, seguire webinar su comunicazione, marketing, gestione, documentarci su tutto quello che stava succedendo in ambito artistico. Abbiamo deciso di non abbandonare i nostri followers (anche se non è un termine che amo) cercando di mantenerci sempre attivi sui social. Proponendo contenuti leggeri e sobri, visto il periodo estremamente complicato. Non abbiamo puntato sullo streaming o su soluzioni digitali per promuovere i nostri spettacoli, non credo in un teatro web, se non postumo alla visione dal vivo.
Come prevede sarà la ripartenza? Ci sarà molta affluenza o prevarrà la paura del contagio?
Io confido nella grande voglia delle persone di riappropriarsi di spazi a loro cari, per loro vitali. Le persone avranno bisogno di rincontrarsi, speriamo soltanto che le restrizioni non siano tali da non poter riaprire per un lungo tempo. Speriamo davvero di no!
Come vi muoverete rispetto  alla stagione interrotta e agli spettacoli rimasti incompiuti?
La nostra idea è di non lasciarla incompiuta, per cui, in base alle disposizioni anti covid, vedremo come ricollocare i tre spettacoli rimasti sospesi. La nostra più grande speranza è che almeno da settembre si possa ripartire con serenità, per la salute di tutti e per garantire un ritorno al lavoro. Una delle cose peggiori di questo periodo è stata sicuramente quella di non avere una prospettiva futura. Sembra che ne stiamo uscendo, ma ancora niente è definito, purtroppo.
Questa esperienza, molti dicono, segna un nuovo inizio, su nuove basi. Come sarà l’anno zero del teatro?
Da un lato sono d’accordo che effettivamente molte cose non andavano bene prima, come ad esempio alcuni tipi di contratti per i lavoratori dello spettacolo. E il fatto che noi teatri indipendenti non siamo tutelati da nessuno, il fatto che gli operatori di teatro sociale non siano ancora riconosciuti. Tutte falle evidenti del passato che spero siano colmate nel breve termine, ma immagino il lavoro sia ancora lungo. Il teatro vive di una molteplicità di competenze, quasi nessuno fa solo un lavoro e questa pluralità dovrebbe essere rispettata, tutelata e sostenuta. Dall’altro lato penso che questo stop sì, effettivamente, ci ha dato modo di analizzarci da dentro, di capire chi siamo, dove vogliamo andare e quali sono i mezzi per poterlo fare. Si ripartirà forgiati, questo è certo. Ho capito che non voglio cambiare lavoro, penso sia una grande consapevolezza.
A livello sociale, agire sul territorio in cui si è profondamente radicati può aiutare ad alleviare il peso della congiuntura negativa? Il teatro può giocare un ruolo di primo piano in questo senso?
Stiamo lavorando a diversi bandi! Sia l’Italia che l’Europa chiedono sempre di lavorare per il sociale: noi lo facciamo da diverso tempo e cerchiamo di crescere ancora di più su questo lato davvero identitario. Il teatro deve rivolgersi ad una comunità, deve conoscerla da vicino, deve coinvolgerla quanto più possibile (almeno questa è la mia visione). Stiamo allargando la rete di collaborazioni e stiamo pensando a diversi progetti di teatro sociale da attivare non appena sarà possibile. Rimane sempre il fatto che la cultura non è beneficenza, non in assoluto. E se davvero si vuole contribuire per lavorare su integrazione e inclusione sociale, cosa di cui si avrà bisogno sul serio adesso, ci sarà necessità di finanziamenti e aiuti sotto tutti i fronti. La cultura ha bisogno della cittadinanza e viceversa, spero si faccia in modo di svoltare a favore di questa dinamica!
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