La Cna: “Basta poco per non far morire i piccoli borghi del Piceno”

ASCOLI PICENO Caffè, brioche e cappuccino. Un’espressione che nell’immaginario collettivo identifica meglio di tante colte e qualificate indagini il classico marchio del Made in Italy. La più recente indagine della Cna di Ascoli Piceno, supportata dai dati Istat e dall’elaborazione del Centro studi della Cna delle Marche, parte da questo dato per significare il rischio che corrono centri storici e borghi storici del nostro territorio. Fra il 2015 e il 2017 – sono i dati elaborati dalla Cna Picena – nell’area Picena del cratere hanno cessato la loro attività, in media, 3 attività di ristorazione su 10. Quattro su 10 nel capoluogo Piceno. Sei su 10 nell’area montana.

“Dati preoccupanti perché riguardano soprattutto piccole e medie imprese artigiane e del commercio – spiegano Luigi Passaretti, presidente della Cna terrioriale di Ascoli Piceno e Francesco Balloni, direttore generale dell’Associazione – ma che non si fermano all’allarme per il depauperamento imprenditoriale del nostro territorio. Questo tipo di attività, infatti, hanno anche una forte valenza riguardo all’aggregazione e alla coesione sociale del territorio e alla sua capacità di attrarre e ben accogliere i turisti”.

“Borghi e cenri storici – precisa il direttore Balloni – sono la nostra cartina di tornasole per monitorare lo stato dell’economia del territorio. In questi giorni abbiamo incontrato in varie occasioni tutti i rappresentati politici in lizza per le elezioni. E a tutti abbiamo ribadito il concetto che per la Cna è un presupposto imprescindibile, ovvero incentivare e stimolare le amministrazioni locali affinchè il tessuto sociale non si sfilacci, per disinteresse e abbandono, in maniera più grave rispetto a quella che è stata l’azione devastante del terremoto. Sensibilità che hanno dimostrato molte amministrazioni comunali. Ma non tutte, purtroppo, a parte le buone e sterili enunciazioni di principio”.

In termini assoluti, la numerosità delle imprese dell’agricoltura resta elevata nonostante la sistematica perdita di imprese attive: se al 2010 il settore primario dell’area cratere marchigiana rappresentava il 29,4% del totale imprese, al 2016 tale componente vale ancora il 26,9%. Sulla base delle dinamiche demografiche delle imprese attive, è possibile osservare che il sisma ha provocato effetti negativi soprattutto per i servizi di soggiorno e ristorazione (“turismo”) e per le “altre attività di servizi”, nelle quali dominano le presenze delle imprese di servizio alle persone e alle famiglie. Sono quelle imprese che rivestono un’importanza strategica per l’attrattività e la tenuta socio-economica delle realtà urbane di piccola dimensione sparse sul territorio collinare e montano delle aree interne. Gli effetti negativi del sisma sul tessuto di imprese si manifestano anche per agricoltura e manifatture, sebbene con intensità non paragonabile a quella dei due settori citati. Per l’agricoltura, in particolare, si vede come già prima dell’evento sismico di agosto il trend di diminuzione dello stock di imprese attive avesse dato segni di accentuarsi. L’effetto negativo del sisma si avverte anche sui settori del terziario più avanzato (“ad alto contenuto di conoscenza”) che nel periodo precedente il sisma, hanno mostrato una decisa tendenza alla crescita delle imprese attive: il trend di crescita prosegue nella prima metà del 2017 ma non allo stesso modo della fase pre-terremoto. In questo caso, il danno che ha operato il sisma non è quello della diminuzione dello stock di imprese, ma della sua mancata crescita.

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