Moretti (univaq): “Ingiustificato allarme lanciato da commissione grande rischi”

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Il geologo e docente dell’Università degli Studi dell’Aquila, Antonio Moretti, tramite il sito accademico (www.univaq.it) interviene sul rischio lanciato dalla commissione grande rischi, la quale non ha escluso la possibilità di nuove scosse addirittura sino ad una magnitudo di grado 7. Riportiamo gran parte del comunicato del geologo, che ha analizzato tutta la storia della sismicità dell’Appennino.

“Le grandi faglie sismogenetiche in genere si propagano dalla superficie terrestre fino alla profondità di circa 10-12 km dove, in tutto l’Appennino, si sviluppa un piano di debolezza o di “scollamento” tra le rocce della crosta superiore, rigide, e la crosta inferiore, più duttile a causa del progressivo aumento di temperatura e di pressione. Questo modello appare perfettamente verificato dall’andamento storico della sismicità in Appennino centrale: alle grandi crisi sismiche del 1328-1349, 1456-1461, 1688-1706 sono seguiti lunghi periodi di relativa quiete sismica. Dopo il 1706 infatti le montagne del centro Italia sono state turbate solo dai terremoti del Molise (1805), di Avezzano (1915), e dell’Irpinia (1930, 1980).

In tutti questi grandi periodi sismici non è mai accaduto che un forte terremoto “ripercorresse” le aree già interessate da consistenti rilasci di energia sismica. Su questa base storica quindi appare assolutamente ingiustificata la posizione resa dalla commissione grandi rischi, che lascia intendere la possibilità di nuovi e devastanti terremoti nell’aquilano a causa dell’esistenza nell’area di “faglie silenti” non ancora interessate dall’attività sismica. La faglia è solamente l’elemento fisico che limita il sistema, e lungo la quale avviene la rottura ed il successivo scorrimento con liberazione di onde elastiche.

Analizziamo in dettaglio lo sviluppo del’attività sismica dal 2009 ad oggi. I due terremoti principali del 6 e del 10 aprile 2009 e relative repliche hanno interessato le faglie di Pettino-Paganica e di Arischia-Collebrincioni ed i relativi volumi di sottosuolo. Negli anni successivi, esaurita l’energia delle strutture aquilane, l’attività sismica si è spostata verso Nord-Ovest, interessando a più riprese con modesti sciami sismici l’area di Montereale. L’attività sismica si è poi violentemente risvegliata con le scosse del 24 agosto e del 26-30 ottobre dello scorso anno. L’area (o meglio il volume crostale) interessato dalle deformazioni si sviluppa tra Amatrice e la Valnerina, interessando, questa volta sì, anche una parte dell’area già colpita dal terremoto del 1979.

Mercoledì 18 scorso si sono verificate nell’area 4 scosse di magnitudo maggiore di 5 (5.2, 5.4, 5.5, 5.1) succedutesi in rapida successione temporale da Nord-Ovest verso Sud-Est lungo un allineamento di circa 10 km, corrispondente con sorprendente precisione al tratto “mancante” o “silente” della struttura sismogenetica, che appare così “completa” in tutta la sua estensione geografica. Sommando le energie delle quattro scosse otteniamo una magnitudo equivalente di circa 5.9, corrispondente alla massima energia che era possibile attribuire al tratto mancante della struttura. In altre parole il 18 gennaio si è effettivamente verificato un evento di magnitudo 5.9, articolato in 4 eventi successivi. Del resto anche il terremoto del 6 aprile 2009 e il grande terremoto del 1456 sono risultati di tre scosse in rapida successione; si tratta quindi di un fenomeno assolutamente comune nella storia sismica passata e recente dell’Appennino. Alla luce di quanto esposto appare assolutamente ingiustificato, tanto storicamente che sismologicamente, l’allarme diffuso dall’INGV.

Nella mia misera esperienza di geologo del territorio “martello e scarponi”, consapevole del mio infimo ruolo accademico, ma formato alla scuola di maestri come Gaetano Giglia, Paolo Pialli e Paolo Scandone, mi permetto di contestare le assurde conclusioni della commissione grandi rischi e dei notabili dell’INGV che avrà l’unico effetto di seminare il panico tra le popolazioni abruzzesi, mettendo in ginocchio quel che resta dell’economia e del tessuto produttivo aquilano, e non gioverà certo a salvaguardare il territorio dell’Appennino meridionale dove, viceversa, sarebbe opportuno avviare dettagliate analisi sismotettoniche, geochimiche e sismologiche, senza trascurare l’accurato rilevamento dei transienti sismici.”

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