Il CineOcchio: “Richard Jewell”, Eroe per caso e criminale per necessità.

ASCOLI PICENO – Atlanta (GE), siamo nel pieno svolgimento degli spettacoli per le Olimpiadi del ’96. L’America è tutta protesa verso questo evento tanto atteso. Richard Jewell è un uomo qualunque ed è ossessionato dal rispetto della legge. Per lui tutto deve funzionare in maniera corretta – questo approccio zelante lo porterà a perdere tanti lavori – ed ha un forte senso di fiducia nelle istituzioni. E’ sovrappeso, malato di diabete e vive ancora con la madre. Si ritiene un tutore della legge, ma in realtà svolge per lo più lavoretti di sorveglianza. Questa è la miglior cornice che possiamo fornire al personaggio principale della vicenda realmente accaduta.

Arriviamo così al 27 luglio. Jewell è il primo a notare, ben nascosto sotto una panchina, uno zaino lasciato incustodito al Centennial Olympic Park. Dopo averlo fatto esaminare, si scopre che il contenuto sono tre tubi-bomba.
Il fatto di averli rinvenuti con un tempo congruo permetterà di mitigare gli effetti della deflagrazione.

Richard diventa, di fatto, l’eroe che aveva sempre sognato di essere: ma la sua celebrità istantanea non tarderà a rivoltarglisi contro e a farlo precipitare dal sogno all’incubo. Passati, solamente, tre giorni di gloria, ne seguiranno ottantotto di fuoco.

Ben presto, infatti, inizierà ad essere sospettato di essere il dinamitardo dalla stampa e dai federali. Parte così un vero e proprio processo mediatico, quindi sommario. Si parte da un assunto e si piega la realtà alla propria visione-convinzione pregiudiziale. Non mancano tranelli e trappole per farlo “confessare”.

E’ proprio la verità che risiede in Richard Jewell, e che non corrisponde alla profilazione di lui fatta, il cuore pulsante di questa storia.

Il film, perciò, si sviluppa ed è il risultato di due blocchi contrapposti: la lettura-ricostruzione operata dai Mass Media (“si sospetta sempre di chi rinviene la bomba”) unita al profilo ricostruito ex post dall’FBI; contrapposta a quella di un “cane sciolto”, l’avvocato difensore Watson Bryant, che è abituato a credere a ciò che vede, non a ciò che viene raccontato.

Lui sembra proprio prendere le vesti dell’alter ego di Eastwood. Un uomo libero da schemi e pronto a difendere chi viene accusato ingiustamente. Uno dei pochi che riesce a considerare Jewell come una persona e non come un’etichetta.

Buona l’interpretazione, sotto questo punto di vista, di Sam Rockwell. Lui, insieme ad una splendida Kathy Bates (nei panni della madre di Richard), impreziosiscono una pellicola ben strutturata. Donano una forza espressiva fuori dal comune, tanti sguardi vogliono dire molto più di tante parole.

Magistrale la scena dall’ultimo interrogatorio: Jewell, finalmente, si toglie di dosso le vesti di subalterno ai funzionari della legge ed inizia a seguire la verità. Il tutto accade sotto lo sguardo compiaciuto dell’avvocato.

La vicenda si concluderà con l’arresto, dopo 6 anni dal proscioglimento di Jewell, del vero responsabile:  Eric Robert Rudolph.

Eastwood ci consegna così una pellicola fedele all’ultimo focus da lui intrapreso: film legati a storie vere, dal forte spunto biografico e morale.

Spiccano, nei titoli di coda, i nomi di DiCaprio ed Hill come produttori del film.

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