La dieta giusta esiste davvero? Il parere della nutrizionista Deborah Di Agostino
La nutrizionista Deborah Di Agostino ci parla di quante e quali diete ci sono nel panorama odierno.
Dieta del pomodoro, dieta della pizza, dieta del gelato, dieta del minestrone, dieta dissociata, dieta a zona, dieta detox… Quante diete esistono oggi?
È davvero difficile dare una risposta esatta, forse è più facile contare le stelle del cielo. Basta cercare online e vedere quanta varietà di nomi e di definizioni si trovano, in altre parole, ce n’è per tutti i gusti. Alcune di queste hanno una base scientifica, altre con la scienza non hanno proprio niente a che vedere.
Innanzi tutto bisogna chiarire cosa si intende per “dieta”. Nell’antica Grecia, il termine era utilizzato per indicare una serie di attività (movimento, alimentazione, riposo) che nel loro complesso favorivano la salute. Per quanto riguarda l’accezione moderna, l’Enciclopedia Treccani definisce la dieta: “prescrizione alimentare ben definita, in termini qualitativi e soprattutto quantitativi, mirante a correggere particolari condizioni cliniche a scopo terapeutico, preventivo o sperimentale. La dietetica è il ramo della scienza dell’alimentazione che, basandosi sulle conoscenze relative alla composizione e alle proprietà biologiche degli alimenti, alla fisiologia e fisiopatologia della nutrizione e alle tecniche di una razionale preparazione dei cibi, mira a formulare le norme alimentari, quantitative e qualitative, per preservare o restaurare lo stato di salute o a prevenire la malattia nel singolo soggetto preso in esame o in collettività più o meno omogenee”.
Leggendo tale definizione si capisce bene come molte di quelle che vengono definite diete non lo sono realmente e, soprattutto, non tutte le figure che propongono piani alimentari sono realmente abilitati a farlo. Infatti, secondo la legge, oltre al medico nutrizionista, possono elaborare diete il biologo nutrizionista (Legge 396/67; Decreto del Presidente della Repubblica 328/2001, Decreto Ministeriale 362/93), in totale autonomia e in seguito a diagnosi effettuate dal medico, e il dietista che può operare in collaborazione con il medico.
Dopo questa necessaria premessa, come orientarsi di fronte a quella che potremmo definire una macedonia di diete? Come scegliere quella adatta? Il primo passo è sicuramente quello di affidarsi alle figure professionali abilitate a stilare un piano alimentare ed evitare il “fai da te”. A questo punto, sarà il professionista che attraverso un’accurata anamnesi, l’esame delle caratteristiche antropometriche e della composizione corporea, con impedenziometria o plicometria, ed in seguito a eventuali diagnosi di condizioni fisiologiche o patologiche, previamente effettuate dal medico, indicherà la dieta personalizzata, ovvero quella più adatta alla persona, tenendo conto dell’età, del sesso e del tipo di attività svolte nell’arco della giornata. Attraverso il percorso alimentare si instaura un rapporto di fiducia e di empatia tra il professionista e il cliente/paziente che è parte integrante del trattamento e che permette di realizzare un lavoro di squadra.
Quando poi l’approccio diventa multidisciplinare, ovvero il nutrizionista collabora con altre figure professionali quali il cardiologo, il gastroenterologo, il ginecologo, lo psicologo, il personal trainer e via discorrendo, allora i risultati sono davvero ottimali.
In conclusione, per rispondere al quesito da cui siamo partiti, non esiste la dieta giusta in senso assoluto ma esiste piuttosto la dieta personalizzata, quella che più si adatta alle caratteristiche della persona, che garantisce i fabbisogni nutrizionali e favorisce lo stato di benessere. Da questo punto di vista, bisogna sottolineare che la Dieta Mediterranea è quella che ad oggi offre le migliori garanzie in termini di mantenimento di un peso salutare e di prevenzione, tanto che nel 2010 entrò nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale. Quando si parla di dieta mediterranea è più corretto definirlo uno stile alimentare, che abbraccia diversi aspetti tra cui l’attività fisica, la giusta idratazione, ma anche la provenienza degli alimenti, la coltivazione, la biodiversità, la valorizzazione dei prodotti del territorio, la convivialità…
Da un punto di vista nutrizionale rappresenta un’educazione alimentare che indirizza verso un maggior consumo di cibi semplici, spuntini salutari e alimenti vegetali, limitando, sia nella frequenza che nella quantità, il consumo di cibi di origine animale, alimenti processati e confezionati. Ecco perché dal mondo scientifico è quello stile alimentare che riceve maggior consenso e non può e non deve essere ridotta a una semplice “dieta della pasta asciutta”.
AS. LIM ITALY
ASSOCIAZIONE LIBERI IMPRENDITORI ITALIANi
PRESIDENTE DR. FUCCI ALESSANDRO
Le assurdità del Fisco e la riforma necessaria
LA legge delega fiscale E’ STATA APPROVATA IL 16 marzo in CONSIGLIO DEI MINISTRI . Si riparte da dove era arrivato il precedente Governo, con alcune rilevantiONSIGLIO DEI MINISTRI ovità, tra cui, ad esempio, una revisione delle sanzioni tributarie, laddove è stato ricordato che abbiamo sanzioni amministrative che oscillano dal 120 al 200% rispetto all’imposta dovuta, fuori linea rispetto agli altri partner europei. Una misura che prepara all’idea anche di una radicale revisione delle sanzioni penali tributarie, laddove, oggettivamente, non ha senso che per gli omessi versamenti si vada di fronte al giudice penale. È più ragionevole infatti che rappresentino una violazione da sanzionare sul versante amministrativo, pena il rischio di intasare le Procure senza portare ad alcun significativo risultato. Uno dei grandi problemi della fiscalità restano le tax expenditures. Le tax expenditures, come noto, sono elencate nel Rapporto annuale sulle spese fiscali, che è allegato allo stato di previsione dell’entrata del Bilancio di previsione dello Stato, laddove però le tax expenditures per le quali sono possibili analisi e approfondimenti mirati, grazie alla disponibilità di tutte le informazioni interessate dalla rilevazione (effetti finanziari, frequenza dei beneficiari ed effetti finanziari pro capite), sono comunque solo una parte. Una pletora di sussidi pubblici, molti dei quali in forma di spesa fiscale, che rispecchiano un forte interventismo dello Stato nell’economia, e probabilmente un’ipertrofia stratificata dell’attività legislativa, spesso senza una coerenza sistematica. Nell’ordinamento nazionale le spese fiscali sono definite come qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, ovvero regime di favore derivante dalle norme in vigore. Centinaia di misure individuate come spese fiscali erariali, con una apposita sezione dedicata alle (anche queste centinaia) spese fiscali locali. Il valore complessivo delle misure (erariali e locali) è di quasi 100 miliardi di euro e tale valore è comunque solo una chimera, in quanto non tiene conto delle rilevanti incertezze nella individuazione della materia, dovute al fatto che vi è una serie di misure erariali (circa 1/3) non quantificate rispetto al totale e che vi è un’altra percentuale di misure (circa il 70%) rispetto alla quale non sono stati forniti tutti i dati quantitativi (onere, frequenze e importi pro capite). Insomma, nessuno sa davvero quanto lo Stato spende in tax expenditures. Ciò che sappiamo è che circa il 50% delle spese fiscali è destinato a un numero non elevato di beneficiari (max 30.000 soggetti) e che in assenza di tutti i dati quantitativi (onere, frequenze e importi pro capite), per circa il 70% delle misure non è nemmeno possibile svolgere analisi.Ma i problemi non finiscono qui, anzi. Peggio delle spese fiscali da trasferimenti operati con il sistema delle imposte dirette esiste solo una cosa: i sussidi. I sussidi, infatti, non tengono conto della situazione reddituale delle categorie sussidiate. Se l’obiettivo è aiutare un’azienda a investire e crescere, o tutelare il potere d’acquisto delle persone fisiche, è allora più trasparente e meno distorsivo un sistema di imposte sui redditi vantaggioso, anziché facilitazioni su determinati beni o categorie.Un esempio è l’accisa agevolata su una fascia di consumo di energia elettrica nelle abitazioni di residenti (per 650 milioni all’anno circa) che avvantaggia il single ricco quanto una famiglia numerosa e indigente. Miliardi di spesa fiscale sarebbero poi da eliminare in quanto dannosi all’ambiente e contrari a impegni interni e internazionali del Governo. Insomma, ce ne sono di cose da fare. A fronte di spese fiscali non sempre giustificabili, abbiamo inoltre anche entrate diciamo non sempre coordinate (per usare un eufemismo). Nel tempo, la mente creativa di chi doveva trovare risorse finanziarie per rimpinguare le casse erariali ha espresso infatti tutto il proprio estro.E il problema non riguarda solo l’Erario nazionale, dal momento che il decentramento amministrativo, prima, e la riforma costituzionale del 2001, poi, hanno creato una vera e propria giungla tributaria locale. I Comuni dispongono infatti oggi di decine di diverse fonti di entrata, tra tributi e canoni, addizionali e compartecipazioni. E spesso molte di queste appaiono delle vere e proprie duplicazioni, come, per esempio, nel caso dell’imposta comunale sulla pubblicità, dei diritti sulle pubbliche affissioni e del canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari. Per l’occupazione di suolo pubblico, invece, i Comuni possono scegliere tra la tassa e il canone; come, per esempio, anche la famigerata “tassa sull’ombra”, che colpisce l’ombra di balconi o di tendaggi sul suolo pubblico, indipendentemente dall’effettiva occupazione dello stesso. Passando al livello provinciale (dato che le Province ancora esistono), si contano invece anche qui circa dieci fonti di entrata, tra tributi, canoni, addizionali e compartecipazioni. Anche in questo caso vi sono fattispecie non molto chiare, come l’addizionale sull’energia elettrica, che colpisce le utenze non domestiche e ha effetto regressivo (determinando la conseguenza di far pagare di più le piccole imprese che consumano meno), o quella dell’imposta provinciale di trascrizione, che sulla vendita dell’usato prevede un prelievo triplo rispetto al nuovo. Le Regioni, infine, dispongono di altre decine di tributi: dall’Irap alle tasse automobilistiche, fino all’addizionale Irpef; la compartecipazione all’Iva è poi assegnata in base ai consumi misurati dall’Istat. Le tasse sono troppo alte e vanno abbassate. Uno dei passaggi fondamentali che, viste le cifre dell’evasione fiscale in Italia e visti i vincoli di bilancio comunitari, vanno però affrontati per consentire (realisticamente) l’abbassamento delle tasse è quello di contrastare in modo efficace l’evasione fiscale. Quello che è certo è che la Pubblica Amministrazione spende più di quanto incassa. Ed è dunque evidente che c’è qualcosa che non quadra. La riduzione della spesa pubblica “inutile” è quindi necessaria, magari seguendo i criteri di efficieenza, efficacia ed economicità: i pilastri di ogni buona Pubblica Amministrazione. Come giustamente evidenziato durante una inaugurazione dell’anno giudiziario da un Presidente di Commissione Tributaria Regionale, “l’elite degli evasori fiscali è lungi dall’essere debellata, come dimostrano le statistiche sul numero degli evasori totali e sui miliardi di euro nascosti al fisco”. Aumentare quindi l’aliquota sui redditi più alti, facendo pagare cioè ancora più tasse a quei pochi che le dichiarano davvero andrebbe proprio nella direzione inversa rispetto a quel principio costituzionale di equità e progressività che deve caratterizzare il nostro Ordinamento tributario. E allora ben venga una (finalmente) ragionevole ed efficace riforma fiscale. Anche per non ritrovarci, fra altri trent’anni, al punto di oggi e di ieri. Il Fisco non deve essere visto infatti (solo) nella sua azione repressiva, ma anche in quella di servizio al contribuente, a favore del quale svolge anzi la propria azione di recupero delle imposte. Bisogna quindi rivoluzionare il sistema tributario con visione strategica. E bisogna farlo anche velocemente. Un Paese senza un Fisco ordinato, efficiente e comprensibile non ha infatti un futuro».Mentre in Itala vi sono tante problematiche fiscali da affrontare per le imprese , L’Arabia Saudita ha pubblicato una legge che offre alle multinazionali straniere di beneficiare di un’esenzione fiscale del 30% sul reddito per un periodo di 30 anni, a condizione che trasferiscano la loro sede regionale nel Regno mediorientale. La legge, entrata in vigore il 16 febbraio 2024, si allinea alle normative fiscali e di zakat esistenti nel Paese e mira ad attrarre investimenti stranieri, creare posti di lavoro e diversificare l’economia.La diversificazione regionale dell’IRAP evidenzia un federalismo fiscale spinto, che rischia di tradursi in disparità di trattamento per imprese e contribuenti.Se da una parte l’autonomia impositiva consente agli enti locali di rispondere meglio alle specificità territoriali, dall’altra la proliferazione di aliquote, deduzioni e agevolazioni rischia di trasformarsi in un ostacolo alla chiarezza e alla semplificazione del sistema tributario.In attesa di una possibile riforma strutturale, imprese e professionisti dovranno continuare a navigare in un contesto normativo articolato, che richiede competenze sempre più specialistiche e un monitoraggio costante dell’evoluzione fiscale locale.
LA AS. LIM ITALY-ASSOCIAZIONE LIBERI IMPRENDITORI ITALIANI
AUSPICA LA CREAZIONE DI UN SISTEMA FISCALE PIU’ UMANO GIUSTO ED EQUO
AS. LIM ITALY-ASSOCIAZIONE LIBERI IMPRENDITORI ITALIANI
PRESIDENTE DR. FUCCI ALESSANDRO TEL. N. 3463730900