Spazio Salute – Umami, alla scoperta del gusto sconosciuto

umami

Articolo a cura della dottoressa Deborah Di Agostino, biologa nutrizionista con quasi venti anni di esperienza, membro di Associazione Italiana Nutrizionisti in Cucina ed esperta in nutrizione in cucina e sicurezza alimentare.

Umami… che sarà mai?

Il nome deriva da giapponese “umai” che significa “saporito” ed è stato coniato proprio dal dottor Kikunae Ikeda durante le sue ricerche.

Le origini. Sembra quasi un’esclamazione ma non lo è, in realtà è il nome del quinto gusto, infatti oltre al salato, al dolce, all’aspro e all’amaro, da un po’ di anni è stato definito l’umami.

La sua scoperta si deve a un medico giapponese che, nel 1908, mentre studiava il sapore forte del brodo di alghe Kombu, isolò il glutammato monosodico, un sale presente anche in altri alimenti, sia in forma libera che combinata, che insieme ad un aminoacido, l’inosina 5 monofosfato e ad altri nucleotidi, genera questo tipico sapore.

Negli anni successivi, ricercatori dell’Università di Miami ed altri studiosi, tra cui l’italiano Garattini, hanno identificato dei recettori specifici nella lingua che stimolano un’area cerebrale diversa da quella degli altri quattro gusti.

Tali studi hanno portato alla definizione ufficiale, avvenuta nel 1985 durante un simposio internazionale alle isole Hawaii: l’umami è stato riconosciuto quinto gusto, indipendente dagli altri quattro, un gusto che è sempre esistito ma di cui non si aveva la consapevolezza.

Il nome deriva da giapponese “umai” che significa “saporito” ed è stato coniato proprio dal dottor Kikunae Ikeda durante le sue ricerche.

L’umami nella quotidianità. In quali alimenti lo troviamo? Nella nostra quotidianità sono molti i cibi che stimolano questa sensazione, tra cui il pomodoro maturo, i piselli, la carne di pollo, il merluzzo, lo sgombro, ma anche cibi lavorati come il parmigiano, il prosciutto, il brodo di carne. Lo stile mediterraneo prevede molti alimenti che hanno questo caratteristico sapore, così come sono molto diffusi nella cucina giapponese e asiatica, pensiamo per esempio a i funghi Shiitake, al miso e alla salsa di soia, nonché alle alghe kombu, che sono tra i vegetali che contengono il maggior quantitativo di glutammato monosodico.

Questo sale viene, inoltre, largamente impiegato come esaltatore di sapidità nell’industria alimentare, in particolare nei dadi da brodo, nei prodotti surgelati e liofilizzati, nei sughi, nelle salse, nei salumi…, indicato con la sigla E621 nelle etichette (acido glutammico e i suoi sali E 620-625).

A proposito del glutammato monosodico utilizzato come additivo, esistono molti pareri contrastanti in campo scientifico, per ciò che riguarda i livelli di tollerabilità. Comunque, l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, effettua regolarmente dei controlli sui rischi legati alla potenziale tossicità delle varie sostanze utilizzate negli alimenti e ne indica i livelli massimi tollerabili. Attualmente la dose ammissibile giornaliera (DGA) per i glutammati è di 30 mg/kg di peso corporeo (Reg. (CE) n.1333/2008), “tale livello di sicurezza si basa sul dosaggio più elevato al quale gli scienziati non hanno osservato effetti nocivi in animali di laboratorio nel corso degli studi di tossicità” (EFSA, 12 Luglio 2017). Limitare il consumo di cibi pronti e preconfezionati e leggere sempre le etichette dei prodotti che si acquistano, rappresenta sempre la scelta migliore.

Principi per l’alimentazione. Gli alimenti che per natura presentano il glutammato monosodico combinato le altre sostanze che determinano il gusto umami sono, da un punto di vista nutrizionale, molto utili in tutte le condizioni che determinano inappetenza e le situazioni in cui si verifica la perdita della percezione dei sapori a causa dell’età o di patologia.

D’altro canto, non bisogna eccedere perché, aldilà dei dubbi sulla eventuale tossicità, il glutammato è un sale e come tale va limitato.

Come possiamo nell’uso quotidiano utilizzare gli alimenti che stimolano la sapidità senza che questo diventi un problema?

In un’alimentazione equilibrata non vi sono rischi di accumulo di sostanze, come potrebbe essere il glutammato monosodico, né di incorrere in effetti collaterali di vario genere. Credo, piuttosto, che possiamo sempre utilizzare i cibi e le loro caratteristiche a nostro vantaggio, per esempio l’utilizzo del parmigiano o della salsa di soia, del concentrato di pomodoro, permette di evitare o perlomeno ridurre l’aggiunta del sale da cucina, che di sodio ne contiene di più. Inoltre, è buona norma prediligere preparazioni semplici e variare il più possibile le scelte alimentari, evitando di orientarsi sempre sulle stesse cose e di tanto in tanto provare anche cose nuove e sapori tipici di altre tradizioni.

Consigli e indicazioni generici che presuppongono un buono stati di salute, in altri casi è consigliabile sempre seguire un piano alimentare personalizzato, stilato da personale qualificato.

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